pp.490, brossura 17x24
La letteratura dialettale riflessa salentina del sec. XVIII si presenta con un panorama in qualche modo singolare e atipico: due poemetti in ottave, due commedie, e un buon numero di componimenti lirici di vario metro e d'argomento anch'esso molto vario. Spazia infatti dalla volgarità scurrile alla esaltazione liturgica ed agiografica lungo un'occasionalità di grado e di temperie volta a volta differente. La produzione in dialetto salentino ascrivibile al Settecento non è strabocchevole, ma neanche è tanto scarsa da non permettere una visione d'assieme ed una organica analisi e collocazione storica. Il grande secolo tuttavia non vi si rispecchia né vi si riflette, almeno nella sua straordinaria problematica esplosa dalla sua metà circa in poi. I grandi movimenti di idee che appaiarono l'Italia all'Europa; i grandi avvenimenti storico-politici e anche militari, che scossero alle fondamenta le strutture sociali e ideologiche del vecchio continente, non trovano eco o risonanza alcuna, sia pure indiretta, nella coeva letteratura dialettale salentina. La quale, invece, si apre all'arcadia e all'accademia; una arcadia, per giunta sacra, di gran lunga prevalente su quella profana, pronta invece a riallacciarsi anche con la letteratura napoletana del Seicento, palesemente e costantemente tenuta d'occhio per ragioni emergenti da convinzioni politiche. Napoli era e rimaneva la capitale della cultura; e la lingua "napoletana" era sostanzialmente sentita come la lingua ufficiale della capitale politica. Potrebbe esser questa una delle segrete ma storiche motivazioni dell'uso del dialetto